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Ryûji Takayama & Momo Morino

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  1. Sintecoca nella pasta
     
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    Momo “Maji Manji” Morino Momo “Maji Manji” Morino Età 19 Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Momo odiava Japantown, e andarci non era mai un piacere. Per lei, che si considerava una figlia di Watson, raggiungere quel fiocco infighettato che era la JT significava prepararsi a buttare degli eddies in CHOOH 2, tenere le armi in macchina e, in linea generale, darsi una regolata - tutta roba che le faceva girare le cosiddette. Lisciare il pelo allo Smith-sama di turno ed essere costretti a fingere interesse per il suo "piano quinquennale per mettertelo in culo" era una rottura che aveva lasciato volentieri ad altri, optando per mansioni più interessanti e sulla soglia di casa in quel di Kabuki: dopotutto, lì c'era sempre la possibilità di dover mettere mano al ferro per colpa dell'ennesimo Maelstrom in crash.
    Avrebbe tanto voluto evitare di essere lì, ma era un lusso che un signor nessuno come lei non poteva concedersi. Era carne da cannone per i Tygers e l'ennesima silhouette per la città - un binomio senza via d'uscita che, nel medio periodo, avrebbe significato morte, sia del corpo che di quello che le passava in testa; uscire da quello stato di cose era un'imperativo. Per questo, quella sera, dopo aver staccato dal suo turno di guardia alla Fuwa-Fuwa Rando si era sversata addosso una doccia in lattina alla men peggio per levarsi di dosso quel vago odore di lattice, si era messa al volante e si era diretta da Tran, il suo fixer di fiducia. Si era sempre dimostrato affidabile per quella dose o due di Stimm o di Synth; si sarebbe rivelato altrettanto valido per qualche soldo e un po' d'azione?

    Taurus94 , its V ; Equip: Katana e fucile a pompa, tenuti sul retro della Mai Mai.
     
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    Ryûji Takayama | 30 | Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Ecco un'altra giornata come le altre, anche se in verità nessuna lo è mai... Se non ci si vuole annoiare sicuramente Night City fa al caso tuo: appena esci dalla porta ci casa si ha possibilità di venire colpiti da qualche proiettile vagante di una qualche gang "x" o di un qualche cazzone che ha tirato fuori il ferro per una miriade di possibili motivi. Japan Town, il fulcro nevralgico dei Tyger Claws, il peggio del peggio in tutta la città, in senso buono, con origini molto antiche radicate nei samurai, nella Yakuza e nella Triade portavano avanti i loro business espandendo pian piano, estendendosi come un tumore al cervello che prima o poi prenderà il controllo dell'intero organismo; Takayama c'era cresciuto in mezzo a loro, aveva respirato polvere da sparo e Chooh 2 fin da ragazzino e spento le candeline con a suon di pallottole, si poteva dire che era di casa, tutti nel quartiere lo conoscevano e tutti sapevano che se cercavi un lavoro dovevi andare da Tran. Era un omone gigantesco, il tipico lottatore di sumo se ancora ce ne fossero stati, con un occhio cibernetico fatto appositamente per analizzare al meglio la mercanzia e delle dita accuratissime che si aprivano in altri piccoli affari robotici fatti apposta per maneggiare roba di valore: gioielli, armi tecnologiche, cyberware sperimentali, stym da lanciare sul mercato, insomma, Tran aveva di tutto e sapeva ogni cosa.
    Ehi Tran, devo fare un po' di eddies. Hai qualche lavoro per me?
    Equipaggiamento: HJKE-11 YUKIMURA (Smart), KATANA, COLTELLO tenuti sempre con sé. Mi sono permesso di personalizzare un poco il tizio
     
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  3. Sintecoca nella pasta
     
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    Momo “Maji Manji” Morino Età 19 Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    «Muovi il culo, cazzone!»
    Momo serrò la mano di carne e la scagliò come un maglio contro il ruvido cuscinetto del clacson della Mai Mai una, due, tre volte. Odiava prendere la macchina, odiava avere a che fare con gli altri conducenti, odiava il suo amato trabiccolo a quattro ruote. Un giorno avrebbe fatto un mucchio di eurodollari, fracassato il cranio giusto o contratto un debito con la persona sbagliata; ma, in un modo o nell’altro, si sarebbe ritrovata per le mani una bella moto con la quale sfrecciare nella notte e mandare a fanculo gente come il signor Archer bianca fermo davanti a lei.
    «E andiamo!» ripeté, pigiando energicamente sul segnale acustico altre due, tre volte.
    «Ci senti? Ti funziona il neuralware, o stai buggando alla grande?»
    Una voce in sordina nella sua testa puntualizzò acidamente che mister Archer bianca avrebbe avuto di un gran bell’amplificatore sensoriale per sentire le urla di lei, che non aveva neanche abbassato il finestrino; ma, come spesso accadeva, quella voce restò inascoltata, giacché Momo aveva altre speranze.
    «Andiamo – ringhiò – scendi da quella cazzo di macchina...»
    Le immagini apparve nitide e perfette nella sua mente, una serie di fotogrammi che ritraevano mister Archer scendere e dirigersi verso di lei invenendo, salvo farsela sotto nel vedere la sua bocca da fuoco e rendersi conto di essere nella linea di tiro; la canna di una pistola fare capolino dall’automobile bianca, seguita dalla mano e dal braccio del conducente; il telaio della Archer che sgommava in retromarcia verso la Mai Mai, lanciandosi in uno speronamento coi fiocchi.
    Tre possibili scenari che avrebbero fatto scattare il principio di autodifesa, dando modo a lei di sfogare in maniera sana quella cocente incazzatura e modo ai Tygers che avrebbero sentito quella storia di reagire con quel solito “Maji manji?”, quell’espressione-barra-gioco di parole che, al di là delle possibili traduzioni, faceva intendere un misto di stupore e incredulità che accompagnava i suoi exploits da mina vagante.
    Immaginando una di queste reazioni e portando la destra in direzione del fucile, attese.Ma non successe niente di ciò che aveva previsto.
    Invece, una volta scattato il verde la Archer svoltò, liberando la strada e permettendo alla Mai Mai di proseguire.
    «Mpf» grugnì.«Cazzone.»
    La Mai Mai arancio metallizzato attraversò l’incrocio di gran carriera, mentre la sua conducente rivolgeva energicamente il dito medio alla Archer che si allontanava incurante.

    Una volta giunta a JT, le ci vollero una ventina di minuti per ascoltare ciò che la strada aveva da dire e scoprire che Tran era nella sua “bettola”: un buco in un palazzo defilato dalle scintillanti luci della ribalta, un bilocale al quale si accedeva grazie a una spessa porta in ferro a due ante e una rampa di scale che ti portava al di sotto del manto stradale; uno spazio basso e pieno di casse e valige, talmente piccolo che era impossibile fare a meno di chiedersi come facesse un armadio vivente come Tran riuscisse a entrarci, o farci affari.
    Momo parcheggiò l’auto nelle immediate vicinanze del tugurio, affidando la sicurezza delle armi che avrebbe lasciato al suo interno al pataccoso antifurto della Mai Mai e ai due Tygers lasciati lì a sorvegliare la zona. Li superò con un nasalissimo «Yo, choomba!» accompagnato dal suo migliore sorriso e discese in quella lercia tana.
    Non si accertò nemmeno di controllare se Tran fosse impegnato con un cliente o meno; semplicemente si fiondò giù per la scala, ripetendo il suo saluto in uno streetslang dalle tonalità alte quanto il numero di morti al Totentanz il sabato sera: «Yoo, Big T, che si dice? Stasera mi prudono le mani, perché non dai a questa ragazza il divertimento che cer..» a metà della rampa e del discorso si congelò, intravedendo il profilo di Tran e di uno dei Tyger più anziani.
    Oh, merda.
    Il sorriso s’incollò al volto, perdendo la scintilla che lo rendeva genuino e contraendosi in una smorfia posticcia. Sapeva di non poter dissimulare in alcun modo il binomio d’imbarazzo e scazzo che avrebbe contraddistinto quell’interazione, ma sapeva anche di non poter fare dietro front e andarsene.
    Era in trappola.
    «Ah...aniki..- disse in un giapponese imbastardito e dagli onorifici scorretti – ..come state..? Tutto bene?»
     
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    Ryûji Takayama | 30 | Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Mentre parlava al fixer una voce sguaiata irruppe nella stanza e da lì a qualche secondo dopo una ragazza scese dalle scale, Momo Morino, una nuova recluta della gang. Non la conosceva troppo bene ma aveva visto abbastanza per capire che alla ragazza piaceva il divertimento, la vita mondana fra luci, musica ad alto volume e smith da provare, oltre a questo era una testa calda, come un cane da tenere al guinzaglio per evitare di far danni, o almeno questa è stata la sua prima impressione. Si può dire che siano totalmente agli antipodi, per via del carattere silenzioso e solitario di Takayama ma ovviamente dopo un'entrata in scena del genere, non poteva fare altro che ribattere in modo da bacchettare subito la recluta e farle capire il metodo di comportamento.
    In un forte accento giapponese quindi, pronunciò queste parole: <<La calma è la virtù dei forti, Momo. Se ogni qual volta che ci prudono le mani mettiamo mano al ferro non avremo vita facile e non intendiamo aprire un altro fronte con qualche altra banda di Night City... Abbiamo già i Voodoo Boys a cui pensare, non vogliamo avere altri potenziali nemici al momento.>> Il tono fermo e lo sguardo severo puntavano a far capire, alla giovane ragazza entrata da poco nella gang e non abituata a quel tipo di vita, di essere attiva e frenetica ma al contempo tenere bassi i toni; qualche secondo di totale silenzio per poi voltare nuovamente lo sguardo verso il fixer e ascoltare per il nuovo lavoro.
    Come detto allora lascio a te il controllo dei png e la trama precedentemente discussa.
     
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  5. Sintecoca nella pasta
     
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    Momo “Maji Manji” Morino Età 19 Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Nella lunga lista di cose che Momo odiava figurava anche l’interagire con i senpai, vale a dire quei membri dei Tygers superiori a lei per età o posizione nella gang.
    I motivi alla base di questo rancore erano vari, ed erano tutti identificabili in individui come Ryûji Takayama.
    Quelli come Takayama-senpai li si riconosceva subito: gente che sbarcava convinta di essere finita in chissà quale porcile e che riconosceva un minimo di “civiltà” esclusivamente nella più vicina filiale dell’Arasaka o della Kang Tao; gente che, a dispetto di cinque, sei, dieci anni trascorsi da questo lato dell’oceano continuava a pensare che l’unico modo giusto e concepibile di fare qualcosa – qualsiasi tipo di cosa – fosse il modo asiatico; gente pronta, a seconda della loro provenienza, a riempirsi la bocca di paroloni e concetti arzigogolati come “zen”, “onore”, “tradizione”, e “identità”, salvo pestarti a sangue o chiederti un dito per aver espresso i tuoi dubbi in merito o aver fatto le cose in modo troppo poco ortodosso; in ultima analisi, gente la cui mentalità e visione del mondo era assolutamente inconciliabile con quella di Momo, nata e cresciuta nella grande città-stato dove tutto poteva mutare da un momento all’altro e dove chi parlava lo faceva per lo più per nascondere una pistola dal calibro inutile.
    Takayama-senpai non era certo come suo padre, che, pur millantando una discendenza da una famiglia di samurai, aveva ingoiato il rospo e aveva accettato di lavorare nelle fogne fino a restarci secco; non era certo come Chloe Fai Ran, la sua ex “Best Choomba Forever”, che aveva provato a vivere secondo il motto "Sei un Tyger prima di tutto" per poi venire flatlineata a causa di una stupida faida interna tra i Tyger di Shanghai e quelli di Canton; e di certo non era come lei, cacciata sei anni prima dai quindici metri quadri che chiamava “casa” da una gang del cazzo e costretta a unirsi ad una gang del cazzo, una in cui ambire ai piani alti voleva dire fare il possibile per emulare e perpetrare valori che non avevano niente a che fare con Night City.
    D’altro canto, Takayama-senpai non era nemmeno Hiroshi Buzeikan, l’aniki che, due anni prima, aveva punito la sua “mancanza di rispetto” piantandole un chiodo nella mano destra al ritmo del proverbio “il chiodo che sporge sarà martellato” . Buzeikan era tornato in Giappone, e la mano di lei era uscita da quell’incomprensione culturale con un upgrade di prim’ ordine ma, da quel momento, non si era mai più permessa di confondere i diversi gradi degli inchini, di esprimere la propria opinione troppo liberamente e di mancare di accorgersi del bicchiere semivuoto di un superiore e di porre rimedio durante le riunioni informali; al tempo stesso, aveva anche rifuggito Japan Town in favore della movida dello Sprawl, e abbandonato l'idea di ottenere incarichi più importanti in favore della ferocia delle arene sotterranee e dell’insensata violenza del limitare della zona di combattimento.
    No, Takayama non era Buzeikan, e la strada diceva buone cose di lui; ma questo non bastava a stemperare la frustrazione, a cancellare i brutti ricordi, né, tantomeno, a cambiare l’opinione che aveva dei senpai.

    «Io...»

    S’interruppe un momento, giusto il tempo di chetare il lieve spasmo che aveva colto la mano bionica e scegliere al meglio le parole che avrebbe detto di lì a poco.

    «Ha ragione, Aniki. Mi scusi.»

    Dopodiché abbassò lo sguardo e la parte superiore del corpo, profondandosi in un inchino di cinquanta meccanici gradi che sarebbe terminato solo qualora Takayama avesse smesso con quella predica, le avesse fatto capire di poter smettere o, nel migliore dei casi, avesse semplicemente riportato la sua attenzione su Tran. Un atteggiamento remissivo, un puro esercizio di forma costellato da timore e rabbia. Per fortuna, aveva da sopportare quello stato di cose ancora per poco; poi avrebbe preso il largo, e tanti saluti.

    Khiem Ong Tran| 34 anni | Fixer dei Tyger Claws

    Tran Ong Khiem aveva buon occhio, e questo già prima che venissero potenziati da un fenomenale innesto zoom. Un buon occhio, nervi saldi e perspicacia erano state qualità fondamentali per la sua sopravvivenza prima e per la sua ascesa nei ranghi poi; e, sebbene ora i suoi occhi trascorressero la maggior parte del tempo alla ricerca dei difetti insiti in telai di automobili e componenti meccaniche di vario genere, i suoi tratti distintivi erano ancora lì, pronti a tirare fuori il meglio da una situazione tediosa come quella. Per questo, la prima cosa che il fixer dei Tyger fece fu disinteressarsi completamente allo scambio di battute dei due, approfittando di quel momento per analizzare la carrellata di informazioni che il suo sistema sub-retinale “Kiroshi P.D.A.” aveva portato alla sua attenzione. La seconda cosa che fece fu aspettare di avere nuovamente l’attenzione dei Tygers; la terza fu parlare.

    «In effetti è appena arrivato qualcosa. Pare che due dei nostri siano scomparsi. Yian e Ollie, li conoscete? Beh, ormai sono tre giorni che nessuno li vede in giro, e risultano completamente irraggiungibili. Ora, lungi da me andare alla ricerca di ogni cucciolo di tigre scomparso, ma la persona che mi ha chiesto di farlo sa bene come ripagare un favore, perciò...insomma, ve la sentite di farlo – dico, insieme? Quattro gambe sono migliori di due, e mi piacerebbe risolverla quanto prima.»
     
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    Ryûji Takayama | 30 | Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Sorvolando sullo stile della ragazza, al fixer arrivò proprio in quel momento un avviso di ricerca che, a maggior ragione, appartenenti alla loro stessa gang. Yian e Ollie, dei giovani acquisti per la gang che già avevano smarrito la via di casa. Per Takayama la preoccupazione principale erano i Vodoo Boys, quella gang così fugace da sembrare quasi finta ma la lotta che era scoppiata contro di loro era tutt'altro che immaginaria e, si sa, in guerra ogni occasione per indebolire il proprio nemico è buona; bisognava comunque guardare anche l'altro lato della medaglia, ovvero che erano sempre a Night City e i cuccioli di tigre potevano benissimo essere: in un qualche buco a guardare braindance e sniffare la nuova smith del momento, rinchiusi in una camera ad accoppiarsi, o purtroppo, i modi per andare all'altro mondo di mancavano in città. L'idea di lavorare con Momo era accettabile, anche se era un tipo solitario e amava la parte del mercenario solitario, i Tyger avevano la priorità e poi non era così infantile da rifiutare un incarico per mantenere quell'immagine, il lavoro è lavoro.

    <<si, ce ne possiamo occupare noi, non è un problema e poi è meglio accertarci di che fine abbiano fatto i nostri. Sai dove stavano o se lavoravano per qualcuno? Così da avere un'idea del luogo da cui iniziare.>>

    Dopo tre giorni di silenzio da parte dei giovani membri prima o poi qualcuno avrebbe dovuto occuparsene alla fine, sapere che fine avevano fatto. Tutto era possibile ma dubitava fortemente che se ne fossero rimasti, entrambi, a casa, senza uscire un capello fuori dalla porta ma avrebbe fatto le sue ricerche e tratto le conclusioni poi.
     
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  7. Sintecoca nella pasta
     
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    Khiem Ong Tran| 34 anni | Fixer dei Tyger Claws



    Tran osservò la strana coppia che aveva appena formato, e abbozzò un sorriso. Era consapevole di quanto potesse essere azzardato mettere insieme elementi come quei due, ma l'idea che personalità del genere potessero trovare un punto d'incontro e formare una squadra di tutto rispetto lo aveva stuzzicato abbastanza da spingerlo a rischiare. Un eventuale successo gli avrebbe confermato la loro affidabilità, mettendoli in lizza per roba più seria e, auspicabilmente, facendo di loro membri di rilievo nell'organizzazione - e lui, come le volte precedenti, avrebbe riconfermato la sua reputazione di talent scout. Era il suo gioco, ed era un affare da cui ci avrebbero guadagnato tutti: restava solo da sperare che anche le due tigri lo capissero.
    «Ottimo. Per cominciare, eccovi una foto dei due tigrotti.»

    Tran fissò i due, inviando un' istantanea degli obbiettivi.

    «Quanto alle tue domande, Ryûji...mi sono preso la libertà di fare un po' di ricerche, e ho trovato un paio di piste che potrebbero tornarvi utili. La prima, il loro domicilio - un appartamento nell'edificio Dai-Ni, interno 32-C; la seconda, l'ultimo posto dove li hanno visti, giù al Clouds.»
    Tran rifletté su ciò che aveva appena detto: due luoghi - un palazzo residenziale e una delle più famose Dollhouses della città - entrambi a Japan Town, entrambi entro i dieci minuti di macchina e, soprattutto, entrambi saldamente sotto il controllo dei Tygers: raggiungerli e accedervi non sarebbe stato certo un problema. Il punto dolente, semmai, sarebbe stato...

    «...un'altra cosa. Vi sto inviando il mio contatto privato, accettatelo e salvatelo. Quando ne saprete di più, chiamatemi. E...casomai fossero morti, trovate il colpevole. Sapete come vanno queste cose.»

    A dispetto del tono colloquiale, le sue parole non davano adito a fraintendimento alcuno: Yian e Ollie erano dei cuccioli, e le tigri si prendono sempre cura dei loro cuccioli. Eventuali morti dei membri della truppa non erano in alcun modo tollerate, né tantomeno compiante in silenzio; e se quello si fosse rivelato essere uno di quei casi, sarebbe stato compito di Ryûji e Maji dispensare una giustizia rapida e spietata.
    Con un comando su vocale, Tran inviò ai due il suo numero; poi, si preparò a congedarli:

    «Altre domande?»



    Momo “Maji Manji” Morino Età 19 Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Quello di Tran non era stato un discorso facile da digerire. Una voce sarcastica dentro di lei sibillò che avrebbe dovuto aspettarselo, data la botta di culo che le aveva permesso di uscire indenne dalla gaffe con Takayama. Passare la serata con un senpai? Momo non ne era affatto felice; anzi, era stata lì lì per inventarsi una cazzata qualsiasi e alzare i tacchi ma, in seguito al briefing di Big T, qualsiasi pensiero di desistere era stato soffocato, sostituito dalla consapevolezza di essere in trappola: a dispetto della più che valida ragione, rifiutare quell'incarico avrebbe decretato la sua condanna a morte - letteralmente.
    Perciò, quando il fixer aveva domandato, Momo aveva risposto, questa volta tirando fuori un po' della verve che la contraddistingueva:

    «Puoi giurarci, Bro!»

    Conosceva Ollie e Yian, anche se solo di faccia.
    Diavolo, se c'era una e una sola cosa che aveva imparato a far bene nei sei anni trascorsi al livello più basso della gerarchia dei Tygers, era imparare a conoscere la truppa - conoscerla bene, conoscerla tutta.
    E quei due li aveva inquadrati parecchie volte, due piccioncini inseparabili visti ora a zonzo per Kabuki, ora a condividere una dose in un postribolo innominabile.
    Per un momento pensò a loro due, due spinotti d'interfaccia all'interno dello stesso alloggiamento, intenti a passarsi una dose o una bottiglia - poi, si riprese.
    Settantadue ore di sbornia o bagordi senza esser visti da anima viva? Seeh, figurarsi.
    Morti, allora?
    Impossibile anche quello: da quel che diceva la strada, quei due non lasciavano mai la JT: se avessero tirato le cuoia, sarebbero stati avvistati. E allora, cos' altro restava?

    Momo precedette il senpai, risalendo la scala e uscendo dallo scantinato.
    Lo avrebbe aspettato a qualche passo dall'entrata, con fare perplesso.
    Quando questi sarebbe uscito, gli avrebbe chiesto:

    «Allora aniki, che si fa? Volendo potremmo separarci, faremmo più in fretta...c'è un posto da cui preferite cominciare?»
     
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    Ryûji Takayama | 30 | Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Bene, Tran aveva risposto alle domande poste da Takayama su quei due ma comunque era poco, d'altro canto non stavamo parlando di due membri di spicco della gang o di chissà quale pezzo grosso del lato oscuro di Night City, erano semplicemente due che facevano baldoria tra i locali di JT.

    << Ok, non ci vorrà molto. Ti chiameremo una volta che avremo ispezionato i posti.>>

    Takayama non conosceva i due nuovi membri, o meglio, li aveva già visti a sentiti ma non si era mai interessato più dello stretto necessario, essendo già avviato all'interno della gang aveva altre gatte da pelare che accogliere i nuovi membri e poi è sempre stato un sostenitore della legge del più forte, se resistono e sanno cavarsela fra le vie della città non saranno un peso per la gang al contrario invece... Risalendo le scale per uscire da quel buco in cui stava il fixer pensava che etrambi i luoghi citati da Tran erano all'interno di Japan Town, nel loro territorio, qualsiasi cosa succede in zona loro sono i primi a venirlo a sapere, se fossero stati uccisi probabilmente l'avrebbero già saputo. Dove potevano essere quindi?

    << Si, vai a casa loro, controlla se c'è qualcosa che può non convincerti, qualsiasi cosa possa sembrarti strana; io andrò alla dollhouse e vedrò cosa riesco a sentire su di loro. dubito che non escano dal loro appartamento da tre giorni ma prima andiamo a vedere, parleremo dopo. Chiamami appena arrivi sul posto, ti linko il mio numero.>>
     
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    Momo “Maji Manji” Morino Età 19 Membro dei Tyger Claws/Mercenario

    Momo ascoltò le direttive del senpai, ripassandole a mente.
    Entrare a casa dei due, frugare tra le loro cose e fare rapporto. Non necessariamente in quest’ordine, ma non era veramente importante, no?
    Annuì alle considerazioni di Takayama e rispose «Ricevuto.» mentre la sinistra, che in circostanze diverse si sarebbe esibita nella pantomima di un saluto militare, venne portata alla tempia, per accettare il contatto del senpai e inviare a sua volta il suo.
    Assicuratasi della buona riuscita di entrambe le operazioni, si sarebbe congedata, si sarebbe diretta alla Mai Mai e l’avrebbe usata per prendere il largo.

    *******

    In dieci detestabilissimi minuti, il Dai-Ni fu in vista.
    Si trattava di un fatiscente cubo in materiali plastici un po’ defilato dalla movida della Town, un prefabbricato che due pezzi di street art raffiguranti una tigre e una – era una fenice? – identificavano come un presidio dei Tygers: una serie di loculi atti a ospitare membri della gang ed eventuali parenti ripartiti in una serie labirintica di corridoi stretti e angusti.
    Insomma, la tipica arcologia, ma con un numero maggiore di sbandati ad occupare i ballatoi ed un più intenso odore di kibble alla salsa di soia.
    Momo parcheggiò a poca distanza dalla struttura; senza degnarla di uno sguardo, torse il busto verso il retro della vettura, tendendo la destra verso la katana; dopodiché, la afferrò e scese dal veicolo.
    Riservando all’arma la stessa attenzione dedicata al Dai-Ni, la ragazza si limitò a infilare l’arma e la fodera tutta dentro un passante sul fianco sinistro della sua minigonna in denim. Avrebbe lasciato la parte inferiore del cappottone in pelliccia sintetica sbottonata, e fatto mostra della lama come se fosse un identificativo; avrebbe anche sbottonato qualche bottone della parte superiore, e fatto sgusciare fuori dalla manica il destro cromato per mostrare anche quello. Sarebbe andata in giro a quel modo, con un lato del cappottone penzoloni e lasciato che spada e cromatura comunicassero ai “pali” la sua identità e affiliazione; e se le si fosse avvicinato qualcuno duro di comprendonio, beh...non aveva nessun motivo per anche solo pensare di andarci pesante con un membro della gang, ma aveva una faccenda da sbrigare, e detestava l’idea di subire un contrattempo.

    Questa mise e l’atteggiamento di cui sopra non avevano il solo scopo di annunciare la propria presenza, ma anche quello di giustificare in qualche modo ciò che avrebbe fatto di lì a poco.
    Momo, infatti, era una ragazza dai ben pochi talenti; e se trovare l’ubicazione dell’interno in breve tempo poteva – forse – essere uno di questi, scassinare la porta o raggiungere una finestra con qualche atleticismo non lo era affatto. Avesse avuto un po’ di senno – o la voglia – di farlo, avrebbe potuto cercare il pezzo grosso dell’arcologia, spiegargli la situazione e così ottenere l’accesso all’appartamento; ma lo scazzo di fare tutto ciò non lo aveva mai avuto, e l’approccio per cui aveva optato era stato il caro buon vecchio “spacca adesso, paga dopo”. Sicché, giunta presso la soglia, Momo non perse tempo: poggiò la destra sul quel piano di plastica scorrevole di fattura scadente che era la porta e, una volta saggiata la sua robustezza, si limitò a guardare ambedue i lati del corridoio di quel dodicesimo piano. Poi, indietreggiò di cinque passi e caricò l’uscio.
    Alla prima spallata, la placca monocromatica del 32-C s’incurvò leggermente; alla seconda, si accartocciò un pochetto con un sonoro schiocco; al terzo impatto – che venne portato con un calcio ben piazzato – un lato di essa schizzò fuori dalla rotaia, permettendo alla ragazza di spostarla ed entrare.
    Una volta dentro, Momo si controllò l’arto, sbraitò un «CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA!» in risposta ad una serie incontrollata di vagiti provenienti da un appartamento vicino e, infine, si toccò la tempia sinistra e mandò un messaggio al senpai:
    CITAZIONE
    Aniki, sono dentro.

    Bene, e ora?
    A luce accesa, il nido d’amore di Ollie e Yian si rivelò essere poco più di una bettola, una stanza dalle pareti luride e priva di qualsivoglia finestra, umida come non mai e dalla moquette appiccicaticcia. Interni spartani, il mobilio sembrava limitarsi a un paio di poltrone, un tavolo pieno zeppo di inalatori e ipodermiche e, nell’angolo più lontano dall’entrata, un futon in gomma rigida dal vivace color blu e cuscini abbinati.
    Momo gettò un occhio alle immediate vicinanze, all’angolo cottura sito alle sue ore 10: ma, a parte un microonde non troppo pulito e scatole semivuote di precotti, non fu in grado di identificare nulla di utile. Lo stesso valse per la cabina doccia e il tavolino dei divertimenti: trovò cianfrusaglie, rimasugli di Stimm, qualche eurodollaro tangibile, ma null’altro.
    Per un po’ provò a immaginare cose come uno scomparto nascosto, o un vano di sicurezza dietro un mobile, o una suppellettile – ma la mancanza di addestramento formale, di un istinto per queste cose e la metratura non superiore ai venti metri quadri non lasciarono molto spazio all’immaginazione.
    Niente risparmi, niente armi, niente di niente; Momo poté solo pensare che quei due non avevano nessuna visione della vita a lungo termine – un pensiero piuttosto sensato – o che avessero davvero lasciato Night City.
    Insomma, hai toppato alla grande?
    La realizzazione la colpì come una coltellata al di sotto del costato, bruciante e imprevista. Fallire non piaceva a nessuno; a lei men che ad altri.
    Si passò la mano meccanica sul mento, nel tentativo di esorcizzare la rabbia montante; poi, ragionò che sarebbe stato più salutare prendere a calci il materasso, e in quel momento si rese conto.
    C’era ancora un posto dove poteva guardare.
    Si portò al giaciglio, si chinò e lo ribaltò. Poi, sorrise.
    Ciò che cercava era lì.
    Un rettangolo non più grande di una ventina di centimetri, sottile e reattivo al tatto.
    Una lastra dati.
    Una tecnologia un po’ vecchiotta, una sorta di lettore di Datashard vecchio modello. Suo padre le usava per lavoro, per quando andava in quei settori talmente in profondità che gli stessi cyberdeck riscontravano problemi di connessione.
    Momo la prese, destandola con il pollice di carne. La macchina rispose, e mostrò i contenuti “preferiti”: un’inutile serie di video di festini, bagordi, bar crawls e baccanali, la riproduzione di una vita abbastanza simile alla sua, ma portata verso un diverso estremo. Non passò neanche mezzo minuto che, già stanca, decise di ordinare suddetti file per data, partendo dai più recenti.
    La lastra dati formulò la richiesta, e ripresentò il suo contenuto in diversa forma.
    Questa volta, a svettare in quella lista fu un file di testo risalente a tre giorni prima.
    Una serie di appuntamenti, cinque luoghi e pochi nomi.
    Tran ci aveva visto giusto: la dollhouse dove si era diretto il senpai era lì – ma era solo il penultimo appuntamento della giornata.
    Dopo di quello, una breve stringa di caratteri:
    CITAZIONE
    Ore 02:00 – Incontro con JJ al Calloway

    «Il che!?»
    Esclamò, sorpresa all’idea che potesse esserci un locale di cui non sapeva manco l’esistenza.

    Si passò il dito sulla tempia, riportando il contesto e il contenuto di quella nota in un messaggio rivolto a Ryûji. Poi, per sicurezza, infilò la lastra dati nel tascone interno del cappotto.
    E ora?

     
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